venerdì 10 febbraio 2012

L'ipocrisia di Obama sui SuperPAC


Barack Obama
Nel 2010 il giudizio di Obama sui SuperPAC era decisamente duro: "Con tutto il rispetto per la separazione dei poteri, settimana scorsa la Corte Suprema ha ribaltato un secolo di legge con una decisione che temo aprirà la diga agli interessi particolari, incluse multinazionali straniere, di interferire senza limiti nelle nostre elezioni". Due anni dopo, e in tempo di elezioni, Obama ha cambiato idea. O almeno si è arreso all'evidenza che rimanere l'unico senza un SuperPAC efficiente è decisamente rischioso.

Ok, ma prima di tutto: cosa sono questi SuperPAC?

I cosiddetti superPAC (political action committee) sono dei gruppi indipendenti di supporto ai vari candidati alle elezioni che si occupano di raccogliere fondi con lo scopo principale di produrre spot che attacchino gli avversari dei loro politici di riferimento. Nel 2010 Obama si schierò contro la possibilità che questi gruppi raccogliessero fondi illimitati per supportare i candidati, ma la Corte Suprema gli diede torto.

Ovviamente anche Obama ha il suo PAC, Priorities USA Action, ma la sua lotta contro questi gruppi organizzati l’ha messo in una scomoda situazione: passare per ipocrita e aiutare questi gruppi a raccogliere soldi come stanno facendo tutti i repubblicani, o rinunciare al loro appoggio ma dimostrare di essere uno che non viene meno alle sue posizioni, anche quanto si ritorcono contro? All’inizio di questa campagna elettorale Obama aveva scelto la seconda, con sommo disappunto del suo staff, che ha modo di vedere quanto funzionino questi gruppi di supporto nelle primarie repubblicane, e suda freddo al pensiero di quando rivolgeranno le loro attenzioni al presidente in carica.

Fino a gennaio, Obama e la sua cerchia ristretta ha evitato di partecipare agli incontri organizzati da Priorities USA e di mobilitarsi in alcun modo per raccogliere fondi. Risultato: mentre Mitt Romney ha aiutato il suo PAC Restore Our Future (guidato dall'ex consigliere di Bush, Karl Rove) a raccogliere nel 2011 30 milioni di dollari, Priorities ne ha raccolti 6,7. Meno di quanto un singolo donatore, il magnate dei casino Sheldon Adelson, ha dato per contribuire a Winning Our Future, il PAC di Newt Gingrich, e molto meno di quanto i fondatori di Priorities USA avevano in mente di raccogliere: più o meno 100 milioni di dollari.

Numeri che hanno convinto il Presidente a mollare un po' la presa, e permettere almeno a membri di punta del suo staff di aiutare la raccolta fondi per il Priorities USA. Una raccolta fondi che però stenta ancora a decollare. Ed ecco che Barack Obama deve fare marcia indietro e promettere un sostegno più convinto al suo gruppo di supporto, anche se ancora non si sa se questo vorrà dire che Obama presenzierà in prima persona agli incontri organizzati dal suo PAC.

"La decisione è stata presa perché non possiamo accettare che il lavoro dei nostri supporters, e le donazioni dal basso che stanno raccogliendo, vengano distrutte da centinaia di milioni di euro di spot negativi" è stata la spiegazione del campaign manager di Obama, Jim Messina. Se i soldi per Priorities USA stentano ad arrivare, altrettanto non si può dire infatti della raccolta fondi a favore direttamente di Obama, che sta per raggiungere i 750 milioni di dollari che vennero pescati nel 2008.

Ma il cambio di rotta per ora non è stato sufficiente a convincere i miliardari vicini ai democratici, George Soros per dirne uno, a firmare gli assegni: tutti sarebbero in attesa di una mossa più convinta di Obama, in modo che i loro soldi servano a stimolare altri a contribuire, e non finiscano nel vuoto. I repubblicani invece non hanno tentennato: "Ha dato prova di essere uno che farebbe qualunque cosa pur di vincere un'elezione, compreso cambiare posizione su un tipo di campagna che ha chiamato niente meno che 'minaccia per la nostra democrazia'", ha detto Joe Pounder, membro del comitato nazionale dei repubblicani, a Politico.com.

La risposta alle ironie dei repubblicani (vedi sotto), sta nei freddi numeri, come spiega ancora Messina: "Nel 2011 il gruppo che supporta Romney ha raccolto 30 milioni di dollari da meno di duecento contribuenti. Il 96% di questi soldi  vengono spesi in attacchi via spot. La posta in gioco è troppo importante per seguire regole diverse. Se non reagiamo, permettiamo che queste elezioni vengano decise da un piccolo gruppo di persone che vuole destituire il presidente a ogni costo".

Barack Obama molto probabilmente non ha cambiato idea, e crede ancora nella necessità di togliere di mezzo dalla politica americana i giganteschi assegni versati dalle multinazionali allo scopo di proteggere i loro interessi. Ma, come si era detto ai tempi della sua elezione, "uno arriva a Washington convinto di cambiarla, e ne esce che Washington ha cambiato lui". David Axelrod, storico consigliere di Obama, la mette giù un po' diversamente: "Il cambio di rotta non significa che crediamo che questo sia un bel sistema. Secondo noi la decisione della Corte Suprema è stata sbagliata. Ma ora le regole sono quelle che sono".

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