lunedì 30 gennaio 2012

Romney e Gingrich: la lotta tra Wall Street e Main Street

"La lunghissima battaglia del 2008 tra Barack Obama e Hillary Clinton ha portato i democratici alla vittoria nelle presidenziali. Non c'è ragione per pensare che una lunga campagna per le primarie sia una cattiva cosa", con queste parole Newt Gingrich ha messo a tacere qualunque rumor sulla possibilità che decida di fare un passo indietro in seguito alla probabile cocente sconfitta in Florida, domani sera.


Sono diversi i fattori che rendono Gingrich così determinato: a 68 anni questa è la sua ultima importante battaglia politica, e non ha intenzione di mollare prima di averle tentate tutte. Inoltre il suo staff pensa che gli stati in cui si voterà tra marzo e aprile siano più favorevoli all'ex speaker che a Romney, quindi non c'è motivo di non insistere ancora per qualche mese e vedere solo allora quale sarà la situazione oggettiva. Infine il nuovo meccanismo di assegnazione dei delegati - proporzionale invece che "il vincitore prende tutto" - consente a Gingrich di mettere assieme un bel pacchetto di voti da portare alla convention anche se non dovesse riuscire a vincere nella maggioranza degli stati.

"Se si considerano tutti i voti non destinati a Romney,  è probabile che si arrivi alla convention con una maggioranza non-Romney, forse anche sostanziale. Questo è il mio obiettivo: trasformare i voti non per Romney in voti a favore di Gingrich". Le parole dell'ex speaker preoccupano molto i vertici repubblicani, che vogliono evitare una lotta intestina tra establishment e anti-establishment, e per questo motivo si stanno spendendo in tutti i modi per azzoppare la candidatura di Gingrich. Ma è esattamente quello che Gingrich vuole: porsi nella posizione di outsider e anti-Washington per catalizzare attorno a sé i voti del Tea Party.

La battaglia tra i due ha preso fin dall'inizio le sembianze di quella che negli U.S.A. viene definita Wall Street contro Main Street, il mondo della finanza e dei potenti contro il mondo delle persone normali. Una battaglia che va avanti da 50 anni e che ha visto scontrarsi nel passato Eisenhower e Taft, Rockefeller e Goldwater, Bob Dole e Buchanan. E in cui hanno quasi sempre vinto i candidati dell'establishment. La situazione si sta ripetendo anche nel 2012.

Romney attrae i voti degli elettori con un più alto livello di istruzione, più abituati a recarsi alle urne e che vedono il Tea Party come il fumo negli occhi. Gingrich prende i voti degli arrabbiati con Washington, spaventati dalla situazione economica e meno istruiti. Da una parte chi pensa che la ricchezza di Romney non gli consenta di comprendere i problemi della classe media, e dall'altra chi vede nel suo successo un segno di intelligenza e di duro lavoro. Gli elettori Gingrich ne apprezzano una cosa, soprattutto: lo spirito combattente.

E Gingrich non vuole venire meno alla sua fama: è già risorto da una campagna in cui era partito malissimo. Vuole arrivare in fondo, contando su migliori prestazioni in primavera e sapendo che in queste primarie il "momentum" va e viene. Non è durato per Santorum, non è durato per lui, non durerà neanche per Romney.


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